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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

UNA “ROAD MAP” PER LA PROFESSIONE DOCENTE
ALCUNE RIFLESSIONI SULL’IDEA DI “CARRIERA” PER GLI INSEGNANTI

 

Un contratto “difensivo”?

Con un po’ di immaginazione, i lunghi mesi della contrattazione sindacale, che sono sfociati nell’accordo del maggio 2003 (ora Contratto Nazionale di Lavoro 2002-2005, siglato il 24 luglio 2003) potrebbero essere immaginati come un (improbabile) trhiller con un (prevedibile) lieto fine, politicamente corretto. Vediamo perché.

Il rischio, temuto da tutte le organizzazioni sindacali, era quello di un netto ridimensionamento delle prerogative contrattuali dei lavoratori della scuola; il desiderio della “parte pubblica”, nemmeno ben esplicitato e motivato, era quello di imprimere una svolta epocale alla gestione del personale della scuola. Di conseguenza:

-        gli uni (i sindacati), erano pronti ad evocare il possibile attentato alle forme di rappresentanza e di capacità negoziale del sindacato sui luoghi di lavoro;

-        gli altri (il Governo), erano tentati di brandire qualche scoop ad effetto (ma del tutto irrealistico), come il collegamento tra la retribuzione dei docenti e i risultati ottenuti dagli allievi.

Abbiamo volutamente drammatizzato il possibile conflitto di interessi, che pure c’è stato e fa parte di una sana e fisiologica democrazia, perché riteniamo che il risultato contrattuale (un testo unico dei precedenti contratti “a somma zero”, cioè con un bassissimo tasso di innovazione) sia stato il frutto psicologico di questa guerra guerreggiata tra le parti, piuttosto che una scelta strategica capace di interpretare e anticipare il futuro.

Che questo sia avvenuto è comprensibile e sarebbe ingeneroso mettere sul banco degli imputati i sindacati, che fanno il loro mestiere “sentendo il polso” della base, o l’Amministrazione, che è portata a “smussare” il conflitto sociale. La questione va ben al di là dei tavoli “romani” e riguarda il futuro stesso del sistema scolastico e dei suoi operatori. Infatti, non si può minimizzare la vicenda contrattuale, riducendola ad un duello “rusticano” tra dirigenti scolastici ansiosi di acquisire le loro prerogative “dirigenziali” e rappresentanze sindacali unitarie tutte tese ad impedire che questo possa avvenire.

È l’OCSE (l’organismo che studia i trend sociali e culturali dei paesi più avanzati) a ricordarci che il futuro dell’istituzione scolastica, così come la conosciamo oggi (con estesi periodi di scolarizzazione, in ambienti appositamente predisposti, per tempi tendenzialmente lunghi), è messo a repentaglio da tanti fattori, non ultimi dalla vitalità delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

Se si potrà apprendere ovunque e comunque, se tenderà a scomparire la differenza tra chi insegna e chi apprende (in una pervasiva società della conoscenza), perché mantenere l’attuale struttura “pesante” della scuola? - argomentano i novelli descolarizzatori. Non sarebbe più conveniente promuovere un sistema flessibile di opportunità educative (formali, non formali, informali), in cui ciascuno sia libero di negoziare e costruirsi il proprio percorso formativo?

A ben vedere, alcuni segnali delle politiche scolastiche di questi ultimi anni (come l’ipotesi di ridurre il tempo del curricolo, l’affievolimento del concetto di obbligo scolastico in favore del “diritto” all’istruzione, la spinta alla personalizzazione dell’apprendimento) sembrano andare in questa direzione, magari sotto lo sguardo benevolo dei (sempre più arcigni) ministri del Tesoro. Infatti, è fin troppo facile preventivare gli effetti di tali scelte sui livelli di occupazione degli insegnanti.

È dunque più che comprensibile un atteggiamento “conservatore” della categoria, volta a tutelare le condizioni di lavoro fin qui raggiunte: profili professionali, organici, orari settimanali e calendario annuale, rapporto tra attività in aula, rigidamente predeterminate, e attività “funzionali” all’insegnamento, lasciate ad una regolamentazione più lasca, al limite della opzionalità (…non oltre le 40 ore annue…).

 È emblematico il silenzio del contratto sull’orario di servizio[1], dove ci si attarda sulla questione del recupero “non dovuto“ dei minuti di riduzione dell’unità oraria di lezione per ragioni di forza maggiore, ridando forza contrattuale alle circolari interpretative di vent’anni fa (cm n. 243 del 22/9/1979 e cm n. 192 del 3/7/1980), piuttosto che cercare di implementare il dispositivo dell’articolo 21 della legge 59/97 (autonomia scolastica) che per gli insegnanti prevede uno statuto quasi semi-professionale. Che gli impegni su base annua (comma 7 dell’art. 21) si traducano in una flessibilità plurisettimanale che non deve eccedere la fascia di oscillazione di 4 ore settimanali, pare una interpretazione francamente assai riduttiva. Ci riferiamo al comma 9 dell’art. 26-Attività di insegnamento- del nuovo Contratto.

La difesa dello status quo è tipica di tutto il pubblico impiego europeo, che evidentemente teme lo spettro della precarizzazione del rapporto di lavoro: in Italia il dibattito è stato assai vivace, quasi drammatico, se si pensa al tema dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (da comprimere o da ampliare, a seconda delle posizioni politiche) o alla riforma del mercato del lavoro (la c.d. riforma Biagi, Legge 30/2002), di cui ora si cominciano a dispiegare gli effetti applicativi anche in alcune aree dell’impiego pubblico.

Certamente “flessibilità” non può essere sinonimo di “precarietà”, ma piuttosto ragionevole capacità di valorizzare al meglio le risorse umane della pubblica amministrazione, per raggiungere finalità di pubblica utilità. Difendere lo status quo non salva la scuola dal declino possibile, ci ricorda sempre l’OCSE, se non si reinterpretano al meglio i suoi compiti di accoglienza e integrazione sociale, (una sorta di aggiornata educazione civile in chiave interculturale e intergenerazionale), potenziandone però le funzioni di alfabetizzazione alla conoscenza, al pensiero e ai linguaggi della contemporaneità.

È da questa rinnovata mission che si può immaginare un rilancio della questione “educazione”, con una conseguente centralità degli insegnanti nelle politiche pubbliche di sviluppo del nostro paese: altrimenti restano solo le battaglie sui “5 minuti” di recupero o il cabotaggio sul reintegro di qualche punto percentuale di inflazione (programmata).

La stagione contrattuale era partita all’insegna del “vogliamo diventare insegnanti europei”, che conteneva anche un quid di incertezza, ma poi tutte le parti sociali hanno preferito ripiegare sulla più rassicurante condizione di “insegnante italiano”.

Era prevedibile che le rappresentanze storiche del personale scolastico promuovessero un’azione di interdizione di fronte a nuove ipotesi, ma è altrettanto scontato che la prossima contromossa politica sarà la presentazione, direttamente al Parlamento, di qualche ipotesi di stato giuridico che potrebbe bypassare le forche caudine della contrattazione sindacale[2].

 

Dal profilo agli standard professionali

Il nuovo Contratto di lavoro riconferma il profilo professionale del docente, che già era contenuto nell’art. 23 del CCNL del 26-5-1999. Non è una definizione minimalista, anzi contiene enunciati carichi di aspettative. Il profilo è costituito da “competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico-didattiche, organizzativo-relazionali e di ricerca, tra loro correlate ed interagenti”.

La definizione recupera il meglio dell’efficace, anche se sintetica, descrizione della funzione docente che era contenuto nello stato giuridico approvato con il Dpr 31-5-1974, n. 417. In quel decreto, che è rinvenibile oggi nel corpo del Testo Unico delle leggi sull’istruzione (art. 395) si afferma infatti che l’attività dell’insegnamento si esplica come “attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”.

Oggi, però, il dibattito professionale internazionale mette in evidenza l’insoddisfazione per definizioni statiche (e amministrative) della professione, quasi un mansionario dei diritti e dei doveri del pubblico dipendente, e sollecita la definizione di standard professionali. Per standard professionale si può intendere la descrizione accurata, per livello scolastico e per area disciplinare, dei comportamenti attesi dai docenti riferiti sia al lavoro in classe con gli alunni, sia alle relazioni con i colleghi, i genitori, la comunità locale.

In definitiva, si tratta di delineare un quadro di riferimento per il “sapere e il saper fare” degli insegnanti, alla cui elaborazione dovrebbe partecipare lo stesso gruppo professionale interessato.

Il processo che porta alla definizione di standard rappresenterebbe, esso stesso, un percorso di consapevole riflessione sulle “qualità” professionali della docenza, soprattutto se la sua elaborazione fosse affidata ad organismi governati dagli stessi insegnanti.

A questo punto, però, le strade si dividono: chi vorrebbe spingere a fondo le forme di autogoverno professionale dei docenti, fino alla previsione di un albo professionale i cui accessi (ed i relativi requisiti di permanenza) sarebbero controllati dalla stessa componente professionale (ma con il prevedibile “scotto” di essere poi “prescelti” dall’albo direttamente dai dirigenti scolastici); chi invece ritiene necessario mantenere l’ancoraggio ai criteri dell’impiego pubblico, magari concedendo qualche riconoscimento all’atipicità della funzione docente, che non può certo essere paragonata a quella di un impiegato amministrativo, non fosse altro per la rilevanza culturale e le necessarie discrezionalità e libertà nelle scelte didattiche.

Anche il dibattito sul “codice deontologico” scaturisce da un’analoga esigenza di professionalizzazione del corpo docente, mediante l’assunzione di responsabilità, da parte degli stessi docenti, nel garantire il rispetto di regole fondamentali di correttezza, competenza ed efficacia nella propria prestazione.

Il codice deontologico, dunque, rappresenta il punto di contatto tra aspettative della società, diritti degli studenti, pratiche professionali degli insegnanti. Assieme agli standard, il codice è uno degli elementi costitutivi di un possibile “status” professionale dei docenti[3].

Il tentativo di definire un codice deontologico, avviato nel 2001 con la costituzione di un apposito gruppo di lavoro presieduto dal Card.Tonini, non sembra –al momento- aver prodotto apprezzabili risultati. Tra l’altro, l’efficacia di un codice deontologico dipende necessariamente anche dal grado di condivisione, partecipazione e coinvolgimento, che il suo processo di elaborazione riesce a coagulare.

Uno sguardo all’Europa ci aiuta a cogliere le aspettative che oggi vengono rivolte al miglioramento delle caratteristiche professionali degli insegnanti, come leva “vincente” per la qualità dell’istruzione. Non a caso si è parlato di insegnanti “efficaci” come artefici primi delle scuole “efficaci”.

In una recente rassegna comparativa e critica delle caratteristiche distintive della docenza, emerge anche un “profilo europeo” dell’immagine “desiderata” di insegnante. Le categorie interpretative non si discostano molto da quelle rintracciabili nei documenti italiani prima citati. In una rassegna curata dall’ENTEP[4] emerge una possibile convergenza attorno ad alcune dimensioni: sociale, relazionale, pedagogica, della ricerca, della padronanza delle conoscenze disciplinari, della pratica riflessiva.

Semmai, ciò che è diverso è il “format” del profilo, cioè il suo modo di porsi nelle fonti del diritto o nella cultura di un paese, la curvatura di tipo amministrativo o professionale. Alcuni paesi, tra cui l’Italia, presentano atti di natura amministrativa[5], altri invece documenti di carattere professionale o culturale.

 

L’identità professionale dei docenti

Sono numerose le ricerche, in Italia e in Europa, che mettono al centro della loro riflessione caratteristiche, condizioni e ipotesi di evoluzione della professione docente. Molti sono anche i punti di contatto tra le ricerche. Vediamoli.

L’insegnante diventa un professionista autorevole se consolida una propria biografia professionale, se entra in un ciclo vitale di crescita culturale, che comporta la partecipazione ad una pluralità di esperienze (il “normale” insegnamento, i progetti innovativi, la ricerca didattica, i corsi di formazione, ecc.). Decisiva appare, però, la capacità di riorganizzare e migliorare le proprie esperienze di lavoro attraverso un approccio cognitivo-riflessivo, che rimette in gioco le risorse della conoscenza e le emozioni.

Questo principio è affermato anche dal Contratto quando (all’art. 25) precisa che le competenze dei docenti si sviluppano “col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistemazione della pratica didattica”.

 L’insegnante, dunque, non è un bricoleur, perché non si limita ad utilizzare una quantità di repertori e di tecniche senza capitalizzarle, ma riflette sulle pratiche con strumenti concettuali sempre più affinati. Quello del docente è un lavoro ad ampio spettro. Le sue dimensioni sono definite da saperi (le competenze), valori (le responsabilità), riflessività (la consapevolezza).

 Al centro della professione docente c’è una responsabilità pubblica, che si esplica nell’etica del lavoro ben fatto, nell’impegno educativo verso i ragazzi, nella formazione di persone e cittadini consapevoli ed attivi.

Questa funzione viene delineata dall’art. 24 del CCNL, che rivitalizza le precedenti indicazioni dei contratti del 1995 e 1999, in chiave culturale e didattica.

 La dimensione culturale della professione docente comprende senza dubbio la padronanza dei nuclei fondamentali delle discipline oggetto di insegnamento, cioè delle conoscenze essenziali, dei quadri concettuali, della connessione di informazioni e nozioni riferibili a specifici contenuti disciplinari. Tale padronanza si estende alle conoscenze di tipo procedurale, di tipo immaginativo, di tipo rappresentativo, assai ricche sotto il profilo formativo ed indispensabili sul piano professionale.

È necessario che il docente mantenga un rapporto “adulto” con la propria disciplina di insegnamento, curando relazioni costanti con i centri di ricerca, le università, le riviste specializzate, le frequentazioni culturali.

L’insegnante non si limita ad utilizzare repertori di strumentazioni utili a gestire l’insegnamento, ma ritorna sulle esperienze quotidiane in termini di riflessività. Inoltre è orientato da una spiccata sensibilità clinico-pedagogica, che gli consente, ad esempio, di “vedere” come il contesto implicito della classe condizioni la dinamica insegnamento-apprendimento e di interrogarsi sulle trasformazioni degli allievi che ha di fronte (il loro universo comunicativo, l’immaginario mass-medio­logico, gli stili di vita).

Le competenze didattiche comportano la focalizzazione sulla organizzazione della classe, sull’uso del tempo, sulle forme di raggruppamento dei ragazzi, sulle dinamiche relazionali, sugli stili comunicativi. L’insegnante dovrà padroneggiare le tecniche della trasmissione culturale, della comunicazione, della relazione educativa (da come si gestiscono i materiali didattici a come si lavora sul testo del manuale, a come si migliora il clima nella classe).

Questo “sapere pratico” non va svilito, perché rappresenta la specificità maggiore dell'essere insegnanti. Anzi, esso dovrebbe diventare un “sapere” riconosciuto, proprio grazie alle attività di ricerca che vedono come diretti protagonisti i docenti, in collaborazione con le altre strutture a ciò deputate. Ecco perché desta qualche perplessità il netto spostamento di attenzione in favore dell’Università che si nota nell’art. 5 della legge 28-3-2003, n. 53, allorché si individuano (non meglio precisati) Centri di eccellenza governati dalle Università, come sedi preposte alla ricerca e alla formazione in servizio del personale docente.

 

I tempi ed i luoghi dello sviluppo professionale

Le ipotesi sullo sviluppo professionale devono tenere conto del nuovo contesto determinato dalla scuola dell’autonomia e dall’affidamento alle scuole di notevoli responsabilità nella costruzione e gestione dell’offerta formativa. L’impegno lavorativo, pertanto, si esplica con modalità assai articolate che comprendono, come rammenta l’art. 27 (Attività funzionali all’insegnamento), “tutte le attività, anche a carattere collegiale, di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e l’attuazione delle delibere adottate dai predetti organi”.

La professione docente, in questo nuovo contesto, si sviluppa in almeno tre luoghi diversi:

-        nella classe, a contatto con gli allievi, affinando le conoscenze sull’apprendere, sulla qualità del contesto, sulla cura della relazione;

-        nella scuola, utilizzando i nuovi spazi progettuali offerti dall’autonomia, che implica un processo continuo di ricerca, progettazione, autovalutazione; occorre infatti saper progettare l’azione formativa, gestire la flessibilità, valutare i risultati, ecc.;

-        nel territorio, perché si amplia l’ambiente di apprendimento, per i ragazzi ma anche per gli insegnanti; nascono progetti collaborativi esterni, che si avvalgono delle nuove tecnologie e dei nuovi ambienti virtuali.

La vita professionale dei docenti, quindi, si configura come un ciclo dinamico che implica scelte rilevanti nei momenti della formazione iniziale, della induzione alla professione (ingresso guidato sul posto di lavoro), nella formazione continua in servizio. Si tratta di un processo che coinvolge i singoli, ma li “coglie” in un contesto di pratiche comunitarie, nella scuola intesa come istituzione pubblica.

 Un simile profilo dinamico lo si incomincia a intravedere nella legge di riforma (Legge 53/2003), laddove si definisce un nuovo sistema di formazione iniziale dei docenti, affidato all’Università, con un progressivo inserimento guidato (tirocinio) nella professione attiva. Restano, al momento, indefinite nella legge, le modalità di reclutamento dei docenti.

 

La valorizzazione della professionalità

Valorizzare i migliori, cioè…

Dal nuovo contratto ci si aspettava qualche indicazione più concreta sui meccanismi di valorizzazione della professionalità docente, al di là della definizione di una distinta area professionale del personale docente (art. 23).

 Si tratta di una prima indicazione che apre ipotesi di considerazione degli aspetti qualitativi del lavoro docente, anche se non sarà facile definire soluzioni concrete. Infatti, le precedenti formulazioni contrattuali sulla valutazione della professionalità (il famoso art. 29 del CCNL 1998-2001), furono clamorosamente “bocciate” dagli insegnanti.

Quelle vicende costituiscono una preziosa lezione dell’esperienza dalla quale ripartire, con alcune irrinunciabili avvertenze di metodo:

-        una indispensabile condivisione delle scelte da parte dei docenti;

-        un approfondimento sugli strumenti “tecnici”, al di là della riproposizione del testing o del concorso;

-        gli effetti di immagine dell’operazione (per evitare la sindrome della “discriminazione”).

Non sarà facile trovare una simile quadrature del cerchio; ci limitiamo - per ora- a formulare qualche previsione e qualche auspicio per i lavori dell’apposita commissione sulla “carriera docente” istituita con l’art. 22 del Contratto.

È opportuno, innanzi tutto, non trascurare i diversi indicatori della professione docente: l’anzianità/l’esperienza; il tempo/la responsabilità; le condizioni/il disagio; la qualità/la progettualità, rispetto ai quali ogni singolo insegnante possa preventivare in quale fascia contrattuale chiedere di essere collocato.

In questo sistema composito:

-        il primo segmento di carriera procede per anzianità (in termini automatici o con un eventuale sbarramento junior/senior), con il contestuale recupero del profilo unico docente;

-        il secondo segmento (il tempo di lavoro) potrebbe dar vita ad una diversa tipologia dei contratti individuali (con forme di prestazione orarie ridotte, a tempo ordinario o a tempo potenziato), mettendo ordine alla mai risolta questione della libera professione;

-        il terzo segmento andrebbe a soppesare le effettive condizioni di lavoro (numero delle classi, aree geografiche, turnazioni, ecc.);

-        l’ultimo segmento potrebbe “esplorare” prime forme di apprezzamento qualitativo dell’impegno, da legare sia ad imprese collegiali (che implicano una progettualità di gruppo, di consiglio di classe, di dipartimento disciplinare), che ad una valutazione individuale (sulla base della considerazione del curriculum professionale e della documentazione didattica del proprio lavoro).

In quest’ultimo caso il riconoscimento di una qualifica “master” potrebbe essere la chiave di accesso a funzioni e responsabilità professionali intermedie nella propria scuola (coordinamento didattico, assistenza ai neo-insegnanti, comitati di valutazione).

Qualcosa di analogo viene ora ipotizzato anche nelle proposte di legge presentate in Parlamento da esponenti della attuale maggioranza. Simili ipotesi dovrebbero essere oggetto di aperta discussione tra i docenti, anche prendendo spunto dai lavori della già ricordata commissione per la carriera di cui all’art. 22: non c’è miglior soluzione alla valorizzazione della professione (anzi, non ci sarà alcuna soluzione) se non quella proposta e accettata dagli insegnanti stessi.

 

Le articolazioni professionali

Il contratto, intanto, rilancia anche la questione di una maggiore articolazione delle funzioni professionali intermedie. Infatti, si è ormai capito che la scuola dell’autonomia richiede ai docenti un approccio professionale al loro lavoro e l’abbandono di un’ottica di routine. Questa maggiore libertà potrebbe consentire soluzioni assai originali nel campo dell’organizzazione didattica (periodi intensivi di impegno, struttura modulare dell’insegnamento, stage esterni con gli studenti, ecc.). La flessibilità è indispensabile per favorire la personalizzazione dei percorsi, per far fronte a domande sempre più individualizzate degli allievi, per avviare l’integrazione tra le diverse occasioni di formazione.

 La trasformazione della scuola in senso autonomistico presenta alcune caratteristiche che rappresentano il nuovo contesto di esercizio della professione docente:

-        la centralità dei processi di insegnamento-apprendimento;

-        il passaggio da una prevalenza dell’aspetto trasmissivo a quello di mediazione culturale;

-        l’emergere di nuove responsabilità, funzioni, compiti (ad esempio, di tutoring);

-        il bisogno di conciliare l’autonomia culturale professionale del singolo insegnante con la collegialità e la cooperazione nel lavoro di team.

Per il docente della scuola dell’autonomia ben si adatta l’idea di “professionista in una istituzione” (o in un progetto), in cui si evidenzia la dimensione di una professione legata alla qualità della propria prestazione piuttosto che all’orario di servizio (che, tra l’altro, non riesce da solo a rappresentare la complessità dell’impegno dei docenti).

Restano i concetti di libertà di insegnamento, libertà di scelta, libertà metodologica, termini citati in capo all’art. 26 del Contratto: ma servirebbero premesse organizzative e professionali più convincenti per fondare l’identità e la progettualità collegiale di ogni istituto scolastico.

In tal senso, le concrete azioni svolte oggi nella scuola appaiono più ricche di quanto venga ricordato dall’art. 24 del Contratto “I docenti, nelle attività collegiali, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico-didattici, il piano dell’offerta formativa”.

 Per realizzare un progetto educativo condiviso, con una comune assunzione di responsabilità, si richiede una diversa cultura organizzativa nella scuola, che implica anche l’emergere di una articolazione interna di funzioni e di ruoli. È in questo contesto partecipativo che le “funzioni obiettivo”, nate con il precedente Contratto del 1999, vengono rinominate come “funzioni strumentali al piano dell’offerta formativa”.

L’art. 30 del nuovo Contratto ricorda anche, in estrema sintesi, le motivazioni che stanno alla base di una più articolata organizzazione scolastica:

-        una maggiore razionalità e migliore utilizzo delle risorse interne per la qualificazione del sistema scolastico;

-        una maggiore circolazione dell'informazione all'interno della scuola (funzionale ad un processo decisionale più consapevole e condiviso) e all'esterno della scuola, con l'utenza e con gli Enti territoriali di riferimento;

-        il miglioramento della documentazione con l'obiettivo di una maggiore trasferibilità e rendicontabilità delle azioni intraprese, anche mediante un più sicuro utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

L’esperienza delle funzioni obiettivo nel quadriennio 1999-2003[6] dimostra che dall’azione di uno “staff” di figure intermedie ci si possono attendere alcuni risultati interessanti, quali:

-        maggiore livello di coordinamento interno

-        attivazione di un livello intermedio di consulenza e gestione

-        funzionamento più efficace dei meccanismi decisionali

-        maggiore conoscenza e controllo delle azioni intraprese.

Nei casi migliori le figure di raccordo coordinano gruppi e attività previste nel piano dell’offerta formativa, per le quali agiscono su delega del Collegio dei docenti e con specifici compiti e responsabilità, attivando rapporti, consulenza e relazioni con i singoli e i gruppi.

Ci sono competenze precise che dovrebbero essere richieste a coloro che si candidano a svolgere funzioni che, in senso lato, potremmo definire di leadership educativa all’interno della scuola. Si tratta di “expertise” che privilegiano aspetti largamente trasversali e comuni a più profili professionali e che attengono a stili di relazione e di gestione piuttosto che a specifici contenuti o abilità particolari. Qualche ricerca le ha messe a fuoco, aggregandole attorno ad alcune macro-azioni:

Trascinare

Riflettere

Gestire

Sensibilità interpersonale

Attenzione ai

bisognidell’utente

Interesse a migliorare

Influenza alla cooperazione

Impegno ad apprendere

Monitoraggio

Consapevolezza organizzativa

Autocontrollo

Spirito d’iniziativa

Capacità di costruire relazioni interpersonali

Fiducia in sé

Ricerca di informazioni

Sostiene lo sviluppo degli altri

Flessibilità

Autorevolezza

Leadership di gruppo

 

Lavoro di gruppo

Pensiero concettuale

 

Pensiero analitico

 

 

Impegno per l’organizzazione

Leadership             Professionalismo     Managerialismo

Fonte: R.Serpieri, La costruzione sociale della leadership in L.Benadusi-R.Serpieri, 2000.

Desta, dunque, qualche perplessità il silenzio sulla formazione a supporto di queste figure. È assodato che non si possa più parlare di obbligatorietà della formazione, come era previsto nel caso delle “funzioni obiettivo”.[7] Ciò, ovviamente, non esclude che a livello territoriale non si possa pensare ad azioni di accoglienza, supporto, coordinamento dei docenti che saranno incaricati di “funzioni strumentali”.

 

Le “nuove” funzioni strumentali

Le “funzioni obiettivo” che erano nate nel Contratto del 1999 vivono oggi all’interno del nuovo. Aver affidato maggiori responsabilità ai Collegi dei docenti nel definire le caratteristiche delle funzioni “strumentali” al piano dell’offerta formativa segnala questa maggiore curvatura verso funzioni di orientamento professionale e didattico-organizzativo, piuttosto che puramente gestionale.

 Le azioni di monitoraggio effettuate in sede di percorsi di formazione ci aiutano a ricostruire l’identità di queste nuove figure e mettono in evidenza un processo di affioramento e di consolidamento di competenze già disponibili nella scuola: la scelta degli incaricati ha privilegiato (almeno per la prima “generazione” di funzioni obiettivo) la conferma di insegnanti che già avevano partecipato con ruoli diversi allo sviluppo organizzativo della scuola, per consentirne l’ampliamento di funzioni (per la progettazione, la valutazione, l’orientamento, l’accoglienza).

Le aree di intervento presidiate dalle funzioni obiettivo non erano vincolanti, tuttavia le scelte delle scuole hanno, in qualche modo, confermato quanto era stato preventivato dall’art. 28 del Contratto del 1999:

-        ricerca educativa e formazione in servizio;

-        progettualità educativa, didattica e metodologica;

-        prevenzione del disagio, della dispersione e del disadattamento scolastico;

-        documentazione dei processi organizzativi, educativi e didattici;

-        comunicazione interna ed esterna alla scuola (genitori, Enti Locali, Associazioni)

-        controllo e monitoraggio del Piano dell’Offerta Formativa.

Al di là delle polemiche che hanno accompagnato la nascita delle funzioni obiettivo l'attivazione di figure di coordinamento interno ha rappresentato un’importante strategia organizzativa, poiché la presenza di momenti di raccordo tra Collegio Docenti, Gruppi di lavoro e Commissioni ha contribuito, in molti casi, ad aumentare il livello interno della comunicazione, a controllare l’efficacia delle azioni progettuali e ad avviare forme di autovalutazione della scuola.

 Forse è proprio questa la chiave per interpretare il “senso” della possibile evoluzione da “funzioni obiettivo” a “funzioni strumentali”: non si tratta di inventare nuove gerarchie intermedie tra il dirigente scolastico e gli insegnanti, quanto piuttosto di mettersi in una posizione di “ascolto” e di “servizio” verso i colleghi, a sostegno delle imprese collegiali, dei gruppi di lavoro, facilitandone i compiti e stimolandone la produttività, con ricadute visibili sulle pratiche didattiche quotidiane.

 In una organizzazione complessa come la scuola dell’autonomia, un funzionamento efficace si basa essenzialmente sul ruolo collaborativo di tutti gli operatori. Le decisioni, le responsabilità, la valutazione interna non sono compito esclusivo del dirigente o di pochi addetti. Risultano determinanti il coinvolgimento, la partecipazione, la motivazione, le competenze e la possibilità/capacità di decidere di tutti i membri dell’organizzazione.

 A seguito dei processi innestati dall’autonomia, si è a lungo dibattuto se il ruolo del “nuovo” dirigente scolastico dovesse essere associato ad una preminente funzione “manageriale” (gestionale e organizzativa) o ad una necessaria “leadership educativa” (di orientamento culturale). Anche le figure intermedie risentono di questa oscillazione di interpretazioni: si tratta del middle management, cioè dei quadri intermedi che collaborano con il dirigente scolastico nell’esercizio di funzioni prevalentemente organizzativo-gestionali o, piuttosto, sono figure espresse dal collegio dei docenti perché capaci di interpretare la “vision” della scuola, di raccogliere le energie professionali migliori e di proiettarle a vantaggio dello sviluppo dell’intera scuola (leadership diffusa)?

Si fa più netta, infatti, nel nuovo contratto, la distinzione tra le funzioni strumentali (cioè la rivisitazione delle funzioni obiettivo in chiave professionale, operata dall’art. 30) e le figure di collaborazione (per le quali il Contratto prevede due unità di personale docente, cui il dirigente può delegare “funzioni organizzative e amministrative” (art. 31).

Al di là di queste distinzioni, che pure ci sono, è però auspicabile che all’interno di ogni scuola operi uno staff allargato, per far sì che tutte le attività convergano nella realizzazione del progetto di scuola, in connessione con le diverse fasi in cui si articola l’azione organizzativa.

Le soluzioni più aperte e flessibili previste dal nuovo contratto potrebbero aiutare, meglio di quanto non sia avvenuto con le “funzioni obiettivo”, a promuovere incarichi effettivamente utili al miglioramento della qualità dell’insegnamento e della didattica.

 

Quali “tavoli” della contrattazione futura?

In alcuni passi del presente commento abbiamo espresso una valutazione molto critica nei confronti delle soluzioni “continuiste” operate dal nuovo contratto, spiegandone tuttavia le motivazioni e preventivando alcune possibili conseguenze.

E’ possibile immaginare, però, anche un “finale” potenzialmente diverso della vicenda contrattuale. Infatti, come abbiamo già ricordato, all’art. 22 del nuovo contratto (“Intenti comuni”), viene sancito l’impegno di costituire una commissione di studio che entro il 31 dicembre 2003 elabori una soluzione praticabile e sostenibile (sotto il profilo dei costi) per istituire “meccanismi di carriera professionale per i docenti”.

Si tratta di un impegno significativo, anche se di troppe commissioni (senza esiti pratici) sono state spesso lastricate le vie della concertazione sindacale. Va osservato che la commissione è costituita da rappresentanti tutti “interni” alla procedure contrattuale (ARAN, MIUR e OO.SS. firmatarie), con l’esclusione, ad esempio, delle associazioni professionali degli insegnanti da tempo impegnate nella riflessione culturale sullo status dei docenti. L’articolo prevede anche alcuni criteri guida cui si dovrebbero ispirare i lavori della commissione:

-        il riferimento alla qualità della scuola,

-        l’impegno per il miglioramento degli apprendimenti degli allievi e il successo formativo,

-        la chiamata in causa di un sistema nazionale di valutazione.

Non è facile pronosticare gli esiti di questo percorso contrattuale di valorizzazione della professionalità docente. È prevedibile anche che il Parlamento, sollecitato dalle proposte presentate da alcuni rappresentanti della maggioranza, si impegni in un dibattito sul futuro stato giuridico e professionale degli insegnanti italiani. Così, come è da attendersi una discesa in campo dell’associazionismo professionale dei docenti (sia delle sigle “storiche”, sia delle “new entry”).

Non è così lontano dalla realtà immaginare la presenza contemporanea di tre diversi tavoli di discussione sulle condizioni degli insegnanti:

a)     un tavolo parlamentare, dove si dovrebbero affrontare le grandi questioni della professione docente, i diritti di libertà, le responsabilità, le forme di rappresentanza scientifica e di autogoverno, gli standard (europei) di riferimento;

b)    un tavolo contrattuale, dove si valuteranno concretamente le prospettive giuridiche ed economiche di una carriera più dinamica degli insegnanti;

c)     un tavolo professionale impegnato ad elaborare nuove idee sulla professione, con il conforto della partecipazione degli stessi insegnanti e del mondo scientifico.

Un “gioco di squadra” ben affiatato tra tutti gli attori coinvolti, potrebbe essere il prerequisito per il successo dell’impresa di dare al sistema scolastico italiano un corpo professionale di docenti stimati, motivati e qualificati.

A tal fine, ci sembra utile delineare, a conclusione della riflessione, alcuni passaggi di questa ideale “road map” che dovrebbe portare ad un simile (ma non scontato) risultato.


Agenda per i “tre tavoli” della professionalità docente

 

Enunciati

Potenziali indicatori operativi

1) L’insegnante è un professionista “colto, riflessivo, ricercatore, progettista”.

-Utilizzare gli spazi offerti dall’autonomia di ricerca e sviluppo;

-operare nella prospettiva dello “sviluppo professionale” continuo;

-definire un profilo professionale in termini operativi e strutturarlo per standard.

2) È necessario rendere “visibile” il lavoro dell’insegnante, che non si esplica solo nell’attività d’aula.

-avviare nuove prospettive di contrattazione, che portino anche a forme differenziate di rapporti di lavoro, basate sul riconoscimento del tempo dedicato al lavoro:

a)       insegnante con orario parziale;

b)       insegnante con orario didattico ordinario;

c)       insegnante con tempo pieno (didattica + attività di supporto)

-analizzare gli standard europei della professionalità.

3) La scuola autonoma offre occasioni di crescita professionale (individuale e collegiale), ma richiede elevati livelli di competenza.

-negoziare le condizioni che consentono di sostenere la progettualità individuale e collegiale (tempo, incentivi finanziari, benefit);

-valorizzare gli spazi di progettualità all’interno e all’esterno della scuola (gruppi formali e gruppi informali).

 

4) La formazione continua in servizio deve rappresentare l’occasione per una “svolta nella professione”.

-superare le attuali formule dell’aggiornamento;

-articolare la formazione dei docenti in un sistema di opportunità di crescita personale, che comprenda:

a)       forme di consulenza in situazione (a scuola);

b)       attività approfondite e differenziate (personali)

c)       reti e comunità virtuali di insegnanti ricercatori

-definire i criteri di qualità di una buona formazione (standard, qualificazione formatori, accreditamento soggetti, documentazione ecc).

5) Ogni insegnante ha diritto ad un proprio portfolio delle competenze: un curriculum formalizzato con conseguenze sulla propria carriera.

-il curriculum documenta gli eventi più significativi della propria traiettoria professionale;

-certifica le attività di ricerca, formazione, innovazione a cui si partecipa;

-documenta la qualità dell’esperienza didattica;

-registra le responsabilità via via assunte all’interno della scuola;

-l’insieme di questi crediti determina un diverso profilo di carriera (es.: docente master).

6) Gli insegnanti “migliori” vanno riconosciuti e valorizzati, come risorsa della scuola.

-affidare responsabilità didattiche agli insegnanti più preparati (coordinamento gruppi disciplinari, formazione, tutoraggio, valutazione, ecc.

 

7) Occorre un maggior dinamismo nella professione docente, anche offrendo la possibilità di svolgere funzioni diverse, dentro e fuori la scuola

-ripensare alle attuali modalità di svolgimento dell’incarico di figure intermedie;

-rendere possibile lo svolgimento di nuove funzioni all’interno della scuola (coordinatore pedagogico, documentarista, ecc.);

-facilitare l’accesso a ruoli differenziati esterni (tirocinio universitario, gestione centri servizi e laboratori, carriera dirigenziale, ecc.).

8) La professione cresce se viene sostenuta da supporti interni alla scuola e da servizi territoriali vicini agli insegnanti e non burocratizzati.

-costituire presso ogni scuola un dipartimento per la ricerca, la formazione, la documentazione;

-attivare laboratori territoriali, Centri di consulenza come punto di riferimento di reti di scuole, anche per specifici temi didattici e professionali, valorizzando la collaborazione anche temporanea dei migliori docenti;

-promuovere la cultura di rete.

9) Gli insegnanti devono poter disporre di forme di rappresentanza professionale, scientifica e culturale, per “governare” lo sviluppo dei curricoli nazionali e per decidere sulla loro professionalità.

-costituire un’agenzia (board, council) nazionale del curricolo, con rappresentanza degli insegnanti e degli esperti scientifici, come sede permanente per la verifica, l’adattamento e lo sviluppo delle indicazioni curricolari;

-costituire un forum nazionale consultivo delle associazioni professionali, come sede di elaborazione e proposta di idee qualificate e condivise sulla professione docente.

 

Fonte: Elaborazione personale dell’autore


Allegato A al Decreto MURST del 26-5-1998

relativo agli ordinamenti didattici dei Corsi di laurea in scienze della formazione primaria e della Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario (SSIS).


Obiettivo formativo del corso di laurea e della scuola

Costituisce obiettivo formativo del corso di laurea e della scuola il seguente insieme di attitudini e di competenze caratterizzanti il profilo professionale dell'insegnante, che possono essere integrati e specificati negli ordinamenti didattici:

1.     possedere adeguate conoscenze nell'ambito dei settori disciplinari di propria competenza, anche con riferimento agli aspetti storici ed epistemologici;

2.     ascoltare, osservare, comprendere gli allievi durante lo svolgimento delle attività formative, assumendo consapevolmente e collegialmente i loro bisogni formativi e psicosociali al fine di promuovere la costruzione dell'identità personale, femminile e maschile, insieme all'auto-orientamento;

3.     esercitare le proprie funzioni in stretta collaborazione con i colleghi, le famiglie, le autorità scolastiche, le agenzie formative, produttive e rappresentative del territorio;

4.     inquadrare, con mentalità aperta alla critica e all'interazione culturale, le proprie competenze disciplinari nei diversi contesti educativi;

5.     continuare a sviluppare e approfondire le proprie conoscenze e le proprie competenze professionali, con permanente attenzione alle nuove acquisizioni scientifiche;

6.     rendere significative, sistematiche, complesse e motivanti le attività didattiche attraverso una progettazione curriculare flessibile che includa decisioni rispetto a obiettivi, aree di conoscenza, metodi didattici;

7.     rendere gli allievi partecipi del dominio di conoscenza e di esperienza in cui operano, in modo adeguato alla progressione scolastica, alla specificità dei contenuti, alla interrelazione contenuti-metodi, come pure all'integrazione con altre aree formative;

8.     organizzare il tempo, lo spazio, i materiali, anche multimediali, le tecnologie didattiche per fare della scuola un ambiente per l'apprendimento di ciascuno e di tutti;

9.     gestire la comunicazione con gli allievi e l'interazione tra loro come strumenti essenziali per la costruzione di atteggiamenti, abilità, esperienze, conoscenze e per l'arricchimento del piacere di esprimersi e di apprendere e della fiducia nel poter acquisire nuove conoscenze;

10.  promuovere l'innovazione nella scuola, anche in collaborazione con altre scuole e con il mondo del lavoro;

11.  verificare e valutare, anche attraverso gli strumenti docimologici più aggiornati, le attività di insegnamento-apprendimento e l'attività complessiva della scuola;

12.  assumere il proprio ruolo sociale nel quadro dell'autonomia della scuola, nella consapevolezza dei doveri e dei diritti dell'insegnante e delle relative problematiche organizzative e con attenzione alla realtà civile e culturale (italiana ed europea) in cui essa opera, alle necessarie aperture interetniche nonché alle specifiche problematiche dell'insegnamento ad allievi di cultura, lingua e nazionalità non italiana.

Fonte: MURST, 1998


(*) Il saggio costituisce rielaborazione di un intervento dello stesso autore pubblicato sulla rivista trimestrale “Esperienze Amministrative”, edita dalla casa editrice Tecnodid, che dedica il n. 4/2003 al Contratto di Lavoro 2002-2005 (testo integrale, note e commenti).


 

[1] L’art. 26 del Contratto riconferma le condizioni di esplicazione dell’orario di insegnamento, così come già definite nei Contratti Nazionali del 1995 (art. 41) e del 1999 (art. 24):
-          25 ore nella scuola dell’infanzia;
-          22 ore nella scuola elementare;
-          18 ore nella scuola secondaria di I e II grado.

[2] In effetti due proposte di legge in materia di stato giuridico del personale della scuola sono state presentate all’attenzione del Parlamento:
-          PdL n. 4091 (presentata alla Camera dei Deputati il 19-6-2003 dall’On. Santulli e al.) su “Statuto dei diritti degli insegnanti”;
-          PdL n. 4095 (presentata alla Camera dei Deputati il 23-6-2003 dall’On. Napoli) su “Disposizioni in materia di stato giuridico degli insegnanti e di rappresentanza sidacale”.

[3] Va ricordato che con Decreto del Ministro per la funzione pubblica del 20 novembre 2000 è stato approvato il “codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni”, i cui contenuti costituiscono “specificazioni esemplificative degli obblighi di diligenza, lealtà e imparzialità, che qualificano il corretto adempimento della prestazione lavorativa” (art. 1). 

[4] ENTEP, European Network on Teacher Education Policies, citato in G.Luzzatto, Formazione iniziale: riforme fatte, riforme da fare in “Rassegna”, I.P. Bolzano, n. 19, dicembre 2002.

[5] Si tratta dell’Allegato A al Decreto MURST 26-5-1998, relativo agli ordinamenti didattici dei Corsi di laurea in scienze della formazione primaria e della SSIS, riportato in calce al commento.

[6] Un’ampia analisi dell’impatto delle funzioni obiettivo nella vita della scuola è stata compiuta in Emilia-Romagna tramite una ricerca che ha coinvolto oltre 1500 docenti incaricati di funzioni obiettivo. Gli esiti sono leggibili sul sito della Direzione Scolastica Regionale (www.istruzioneer.it, rubrica FAQ) o sul sito www.sisifo.org (SIStema Informativo sulla FOrmazione).

[7] Un bilancio critico sulle azioni di formazione per gli insegnanti incaricati di funzioni obiettivo, che si può stimare abbiano coinvolto più di 100.000 docenti è compiuta nel volume curato dall’IRRE Piemonte, che raccoglie gli esiti delle azioni di monitoraggio commissionate dal MIUR: R.Barbero-P.Nervo (a cura di), Funzioni obiettivo e nuove professionalità, Napoli, Tecnodid, 2002.


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