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Scuola dell’infanzia: un credito solo "virtuale"? (*)

di Giancarlo Cerini

 

Una proposta che smuove il dibattito

La proposta-provocazione sul "credito formativo" da riconoscere alla frequenza della scuola materna, lanciata dal Ministro Letizia Moratti, fin dal mese di luglio 2001 (dichiarazioni programmatiche al Parlamento), un merito l’ha senz’altro avuto: quello di riaccendere il dibattito sul segmento scolastico per i bambini dai 3 ai 6 anni, tradizionalmente sottovalutato e dimenticato nelle grandi politiche scolastiche nazionali.

Tra i punti "forti" del documento Bertagna sta infatti l’idea di una piena valorizzazione della frequenza triennale della scuola dell’infanzia, riconosciuta nella sua qualità pedagogica e curricolare (ben rappresentata dagli Orientamenti del 1991) e nei suoi caratteri non "scolastici" ed impliciti (e quindi con la massima attenzione alla qualità dell’ambiente educativo, alle relazioni affettive e sociali, al particolare modo di far incontrare i bambini con saperi e conoscenze), sintetizzabile nel concetto di "ambiente di relazione, di vita e di apprendimento".

Un grande rispetto circonda la tradizione (positiva) della scuola dell’infanzia italiana, alto è il riconoscimento della sua insostituibile funzione educativa, meritevole lo "sforzo" di darle consistenza istituzionale e di farla uscire dal "limbo" delle esperienze facoltative e marginali. Tuttavia, la strada scelta per raggiungere questi obiettivi, cioè un credito da "spendere" per assolvere ad un anno di scolarità obbligatoria (magari a distanza temporale assai lontana, verso i 17 anni), appare assai "bizzarra", sta raccogliendo molte obiezioni, non viene considerata praticabile, anzi suscita vivaci reazioni soprattutto tra gli insegnanti.

La stessa consultazione "ufficiale" promossa dalla Commissione ha trovato molte obiezioni. Le osservazioni pervenute alla Commissione Bertagna da parte di associazioni e sindacati sono per lo più negative (27 pareri negativi o pieni di dubbi, su 38 enti, associazioni, riviste di settore –si registra nel "referto" della Commissione Bertagna, rintracciabile anche su Internet: www.istruzione.it). Vediamo perchè.

Intanto la proposta della Commissione non sembra tenere conto di quanto avvenuto nelle scuole dell’infanzia italiane negli ultimi anni, anche nel difficile rapporto tra scuola dei piccoli e grandi disegni di riforma (autonomia scolastica, verticalizzazione del curricolo, ricerca sui saperi) ed ignora totalmente il dibattito, le consultazioni, le iniziative sperimentali che hanno "affaticato" in questi anni migliaia di insegnanti (una fatica dunque inutile, ci si è chiesti sconsolati).

Si scopre così che la Commissione Bertagna non ha minimamente tenuto conto dell’ampia consultazione promossa nel 1998-1999 sulle "Linee di sviluppo" (con migliaia di risposte) che avevano portato precedenti Ministri ad assumere precisi impegni politici volti a perseguire "l’obiettivo della totale generalizzazione del servizio per i bambini dai 3 ai 6 anni e della qualificazione delle strutture, dell’organizzazione e degli operatori, sulla base di rigorosi standard di qualità pubblicamente verificati e garantiti."

Migliaia di scuole e di insegnanti avevano manifestato aspettative, slanci, richieste, impegni. Di fronte a questo movimento (suggellato nella primavera del 1999 a Firenze con gli "stati generali della scuola dell’infanzia italiana", con oltre 500 partecipanti) il ricorso alle poche scuole dell’infanzia (a Palermo, L’Aquila, Torino) consultate dai membri della Commissione, nell’ottobre 2001, appare francamente "patetico".

 

Le domande della scuola "reale"

Tutte chiacchiere e ideologia, si dirà, la scuola "reale" è ben altra. Certamente, le consultazioni (ma ancor meno i sondaggi d’opinione) non rappresentano la scuola vera. Nonostante tutto c’è una scuola che agisce, che sperimenta, che si impegna quotidianamente nello sviluppo della qualità educativa. Anche in questo caso intendiamo riferirci a due "movimenti" assai diffusi nelle scuole materne italiane, il progetto ASCANIO (sui nuovi modelli organizzativi e di flessibilità) ed il progetto ALICE (di ricerca sui contesti educativi nello scenario dell’autonomia), che negli ultimi anni hanno coinvolto migliaia di docenti e di sezioni nella progettazione ed attuazione di iniziative di ricerca/azione, di formazione in servizio, di documentazione, di autovalutazione. Perché questi materiali sono stati ignorati dalla Commissione Bertagna ? Che dire poi degli esiti del recentissimo progetto QUASI (promosso dal Cede e da alcuni IRRE per "testare" indicatori di qualitò nella scuola dell’infanzia) ?

Vogliamo, infine, ricordare l’ultimo "sgarbo" nei confronti della scuola dell’infanzia. La sospensione di ogni progetto di innovazione (ben congegnato nel Decreto Ministeriale n. 91 del 21-5-2001, inspiegabilmente ritirato dal Ministro durante l’estate 2001), che priva la scuola materna anche di quei pochi spazi operativi indispensabili per:

verificare lo stato di attuazione degli Orientamenti del 1991 (un buon documento, non sempre coerentemente attuato in tutte le "sezioni");

gettare le basi di un curricolo verticale, senza sudditanze "pre-alfabetiche" verso la scuola elementare (ma con la sincera volontà di affrontare con più precisione quegli "avvertibili traguardi di sviluppo" che rappresentano un quadro "aperto" di competenze da promuovere nei bambini);

mettere a punto un sistema di indicatori di qualità (spazi, tempi, professionalitò degli operatori, clima, regole, materiali, stili di intervento, ecc.), che testimoniano un’effettiva volontà di migliorare le condizioni reali del fare scuola (con un opportuno coinvolgimento di scuole comunali e paritare, anche per dare un "senso" più forte alla evanescente legge 62/2000 sulla parità).

Insomma, la scuola dell’infanzia aveva posto molte domande, si era impegnata in progetti avanzati, aveva guardato con simpatia ad un nuovo ciclo formativo dai 3 ai 18 anni, e si è trovata di fronte ad altre questioni (come l’escamotage del credito formativo, gli interrogativi circa l’anticipo, la "certificazione" dei risultati in uscita), che sono sembrate un ulteriore rinvio di un impegno chiaro, preciso, netto verso la scuola dai 3 ai 6 anni.

Prevale tra gli operatori, al momento, un moto di delusione e di disillusione che mette in ombra anche alcuni degli aspetti positivi che pur si rilevano nella proposta Bertagna: un profilo di formazione "alto" per gli insegnanti della materna, la riconfermata identità pedagogica ed istituzionale, il riconoscimento del valore degli Orientamenti del 1991.

In definitiva, da chi sta sul campo viene la pressante richiesta di rendere concreto il riconoscimento del "credito" che si intende attribuire alla scuola dell’infanzia: non mediante un incredibile "paghi tre e compri uno" (cioè: frequenti per tre anni, ma ti vale solo come un anno), ma piuttosto con l’apprestamento delle condizioni che consentano a tutti i bambini dai 3 ai 6 anni di frequentare una "buona" (anzi, ottima) scuola dell’infanzia.

(*) sul numero di febbraio 2002 di "Scuola dell'infanzia" (Giunti)


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