VALUTARE BENE CONVIENE: VERSO GLI STANDARD
(non sono un iceberg!)

a cura di Giancarlo CERINI

 

La valutazione nella (della) scuola è diventata una questione "politica" ed istituzionale, oltre che pedagogica. Le innovazioni legislative più recenti (v. Legge 59/97 sull’autonomia scolastica) richiedono a gran voce alla scuola di "dimostrare" la propria produttività culturale, di diventare capace di valutare se stessa e di essere disponibile a farsi valutare dagli altri.

Termini poco esplorati dalla stessa ricerca scientifica (v. L.Guasti, Valutazione e innovazione, Novara, 1996) come quelli di "standard" trovano abbondante spazio nelle bozze dei regolamenti sull’autonomia didattica. La autonomia delle scuole, per non trasformarsi in frantumazione autarchica del progetto educativo" richiede infatti la definizione di standard nazionali, cioè di un "criterio di qualità, ossia di un livello desiderato del servizio scolastico o del suo prodotto" (v. B.Vertecchi, Verso la definizione di standard per la formazione scolastica, Cede, 1997).

La valutazione diventa così una strategia per il miglioramento della scuola. Questo è il motivo per cui si è ritenuto opportuno cambiare nome al sistema di valutazione. Non più "sistema nazionale di valutazione", che poteva suggerire quasi la presenza di un grande fratello docimologico, con occhi e orecchi in ogni aula didattica, con un approccio "intrusivo" in grado di condizionare negativamente la vita quotidiana di ogni classe, ma "servizio nazionale per la qualità dell’istruzione", quasi per rimarcarne il carattere "servente" in funzione del miglioramento della qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento.

E’ tuttavia opportuno delimitare ulteriormente il campo della valutazione, ancora troppo vasto. Di quale valutazione vogliamo occuparci? Esistono infatti diversi aspetti da considerare: da una valutazione strettamente didattica (rivolta ad apprezzare i processi e gli esiti dell’apprendimento) ad una di istituto (volta a rilevare le caratteristiche del servizio erogato da uno "stabilimento" scolastico) ad una valutazione di sistema, orientata a cogliere le grandi tendenze, il rapporto costi/benefici, i macro-indicatori, le comparazioni internazionali.

Ma non basta. Dobbiamo però avvicinarci ancora di più all’ecosistema formativo, entrare nelle dinamiche dei processi di insegnamento, esplorare l’effetto delle variabili classi ed istituto sulla qualità dell’istruzione. Un simile processo è stato senz’altro avviato con l’operazione "Carta dei Servizi" (che ipotizza la definizione di criteri di qualità del servizio scolastico, dei relativi indicatori, nonché degli standard, cioè dei livelli di accettabilità delle prestazioni) ed oggi è fortemente richiesto dalla Legge 59/97 che fa obbligo alle scuole autonome di dotarsi di strumenti e procedure per verificare la propria produttività culturale ed il raggiungimento di obiettivi e standard nazionali.

Qui ci soccorre una ulteriore distinzione tra autovalutazione, valutazione interna e valutazione esterna. L’autovalutazione coinvolge il soggetto stesso che compie l’attività, mentre la valutazione esterna oltre che essere condotta da agenti esterni vuole "testare" il raggiungimento di obiettivi definiti a livello generale (esterni al singolo istituto). L’autovalutazione non coincide però con la valutazione interna, che è azione volta ad apprezzare il raggiungimento di obiettivi specifici, legati ad un preciso contesto operativo.

Non è detto che i sistemi più efficaci di valutazione siano quelli "esterni" (oggi, per altro, reclamati a gran voce) (v. Confindustria, Verso la scuola del 2000. Cooperare e competere, Roma, 1998). Se il nostro obiettivo è non solo quello di stilare graduatorie o certificare posizioni, ma di agire per il miglioramento delle prestazioni e dei risultati, allora dovremo allestire un sistema di valutazione fortemente interattivo, in cui i momenti di valutazione esterna si accompagnino ad una metodologia di valutazione interna.

Non basterà disporre di un archivio docimologico nazionale, interrogabile in rete ed utilizzabile con una certa libertà da parte delle singole scuole (un simile archivio è in fase di allestimento presso il CEDE, Centro Europeo dell’Educazione). Andranno promosse anche numerose azioni (come osservazioni, interviste, coinvolgimento dei destinatari, confronti diretti) che non possono essere surrogate da una rete telematica e non possono limitarsi alla somministrazione di prove di accertamento del profitto scolastico. Alcune indispensabili azioni valutative andranno svolte "de visu", cioè agendo direttamente nel contesto organizzativo e didattico, sulla base di protocolli condivisi, per analizzare i comportamenti rilevati in classe, la qualità delle relazioni, la ricchezza delle mediazioni, la pluralità degli stimoli. Questo sembra essere il possibile ruolo futuro di un moderno ed autorevole Servizio Ispettivo, una risorsa –in Italia- quasi in via di estinzione (cfr. Rapporto OCSE sulla politica scolastica italiana, Roma, 1998).

La lettura dei "contesti" non deve far dimenticare il problema di una rigorosa conoscenza dei livelli di apprendimento conseguiti dagli alunni, attraverso l’analisi dei risultati del processo formativo, da attuare con molta circospezione, evitando operazioni riduttive. (v. G.Gasperoni, Il rendimento scolastico, Il Mulino, Bologna, 1997)

Si fa strada l’idea che con l’autonomia ogni scuola potrà predisporre liberamente le forme e le modalità che riterrà più opportune per la valutazione in itinere (valutazione formativa), mentre la certificazione finale degli esiti dovrà sottostare a regole e criteri nazionali e consentire opportune comparazioni, rispetto a soglie definite (appunto gli standard). Si tratta quindi di definire i parametri di riferimento, sotto forma di indicatori.

Potremmo definire l’indicatore come un enunciato circostanziato che qualifica un fenomeno o un processo (un aspetto del sistema didattico) , che consente di rilevare la presenza/assenza (la "misurabilità") di quel fenomeno (v. Verona-scuola, Misurare la qualità della scuola, Provv.Studi Verona, sd).

Predisporre indicatori di valutazione implica assumere un preciso punto di vista sui compiti e gli obiettivi che intendiamo assegnare al sistema formativo. Essi non potranno essere ridotti a mere performances cognitive misurabili negli allievi. Le finalità formative sono assai più alte e profonde, ma di esse cosa potremo misurare? cosa è osservabile? cosa si può descrivere? Non mancano quindi anche rilevanti questioni teoriche.

Dovremo interrogarci in profondità sulla natura delle competenze da promuovere a scuola, sulla loro qualità "formativa", sul loro essere basate su un apprendimento "non inerte" (P.Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolastico, Utet, Torino, 1997), ma interattivo, situato, strategico, costruttivo.

Si tratterà di conoscenze:

  1. dichiarative (relative a contenuti, informazioni, dati, saperi, ecc.);
  2. procedurali (relative al saper fare, a metodi e strumenti di organizzazione del pensiero);
  3. immaginative (relative ai linguaggi, alle rappresentazioni, ai modi di pensare e trasferire pensieri).

Sembrano emergere insperate convergenze con l’impianto pedagogico che sta alla base del Servizio nazionale per la qualità dell’istruzione. L’orientamento del Servizio (v. sito internet del Cede in www.bdp.it) è infatti quello di concentrare l’attenzione su una serie limitata di competenze trasversali, in grado di comporre un profilo formativo riassuntivo della formazione "guadagnata" e di essere predittivo rispetto agli ulteriori percorsi. Si tratta di abilità riferite alla dimensione logico-linguistica, considerate strategiche nel sostenere gli apprendimenti nei diversi settori disciplinari. Esse riguardano la comprensione della lettura, la produzione scritta, la ricchezza lessicale, le abilità metalinguistiche, la capacità di impostare un problema, di stutturare un procedimento algoritmico, ecc.

Più che abilità trasversali si potrebbero definire abilità trasferibili, che nascono e si sviluppano in uno specifico contesto disciplinare. Ogni disciplina, se metodologicamente ben condotta, sollecita il trasferimento delle abilità acquisite verso gli altri settori disciplinari: in questo risiede la sua forza formativa.

Ma a questo punto sorgono anche stringenti interrogativi sul tipo di strumenti e prove utilizzabili per verificare la padronanza di simili competenze. (v. L.Mason, Valutare a scuola, Cleup, Padova, 1996). Secondo molti ricercatori non sono più sufficienti le prove strutturate (es.: quesiti a risposta multipla) che, da un lato, consentono una rapida, attendibile e valida rilevazione di dati, ma dall’altro predeterminano soluzioni chiuse e rendono "opachi" i processi di pensiero sottesi alle diverse risposte. Si apre così anche il tema delle prove semi-strutturate come strumento principe per l’analisi dei processi di apprendimento.

Si sente l’eco, nei documenti preparatori del Sistema di valutazione, di una critica impietosa dei comportamenti valutativi tipici della scuola italiana, che sembrano condizionati dal "mito" della sufficienza, con il rischio di orientare verso una grigia mediocrità gli esiti dell’apprendimento e le relative strategie di insegnamento. Gli standard dovrebbero invece svolgere un ruolo trainante nelle aspettative dei docenti e degli allievi. La loro collocazione su di un gradiente medio-alto (0,50 deviazione standard sopra la media delle prestazioni rilevate) li configura come "standard di progetto", cioè come una meta ambiziosa da realizzare con una didattica più interattiva ed individualizzata in classe, piuttosto che come "standard di fatto".

Un efficace servizio di valutazione dovrebbe consentire ad ogni scuola, con una certa libertà di manovra e la necessaria discrezione (siamo contrari, in questa fase, ad un uso "pubblico" di dati valutativi relativi a singole unità scolastiche) di potersi confrontare con punti di riferimento nazionali (o locali), di comparare i propri risultati con quelli ottenuti in situazioni simili (anche dal punto di vista socio-culturale), di apprezzare gli eventuali miglioramenti (o peggioramenti) del rendimento della scuola nel corso del tempo.

In fondo autonomia per la scuola significa anche capacità di regolare da sé, avendo a disposizione le informazioni necessarie, la propria azione didattica in vista del miglioramento del servizio offerto e dei risultati ottenuti. Ecco perché i primi a chiedere, e a non temere, un adeguato sistema di valutazione dovrebbero essere proprio gli operatori scolastici.