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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

ALLA MODERNITA’ DEI MEDIA DEVE CORRISPONDERE QUELLA DELL’EDUCAZIONE

di Andrea Torrente

 

Premessa

L’ambiente naturale dell’informazione, e degli strumenti adatti a diffonderla, è cambiato radicalmente negli ultimi settant’anni, perciò non si può immaginare una scuola che non prenda in considerazione questa profonda evoluzione. Anche se il modo di procedere può apparire semplicistico, il confronto di queste trasformazioni con quelle avvenute nella politica educativa del nostro paese può rivelarsi fecondo per delineare le prospettive di una formazione all’informazione ed ai media pertinente ed efficace. Questo approccio diacronico può insegnarci molto sugli aspetti più attuali della nostra situazione. Non si tratta di opporre la Scuola ai Media ma di procedere ad una ricognizione della loro evoluzione. Se la scuola della Repubblica, nella sua missione di educazione dei giovani, ha anche il compito di favorire l’acquisizione di competenze relative alla ricerca di informazioni, ciò di cui nessuno sembra ormai dubitare, noi dobbiamo pensare ad un’educazione all’uso dei media e ad una formazione all’informazione adatte al contesto contemporaneo.

 

Formazione all’informazione o educazione ai media?

Formazione documentaria, formazione alla padronanza dell’informazione o alle competenze documentarie, sono delle locuzioni apparentate ma che non rappresentano il perseguimento degli stessi obbiettivi e contenuti. E non è neppure certo che l’adozione della terminologia anglosassone Information Literacy toglierebbe qualsiasi ambiguità.

Se questa esuberanza linguistica testimonia dei concetti che si cercano, essa sottolinea l’importanza della sfida educativa. Per contro, ci si può stupire per l’assenza del termine media in questo lessico, che si tratti di considerare i media sotto il profilo etimologico, oppure secondo una o più dimensioni: cognitiva, semantica, semiotica, tecnica o economica. Come interessarsi all’informazione senza interessarsi dei media e viceversa?

In effetti, manca la formula che possa designare ad un tempo la formazione alla padronanza dell’informazione (e di tutte le sue varianti) e l’educazione ai media.

E’ importante collocare qualsiasi educazione ai media in un contesto socio-politico e culturale preciso ed esplicito, evitando qualsiasi concezione meccanicistica e semplicistica, poiché il funzionamento delle società non lo è. Bisogna anche smetterla con la vecchia concezione dell’educazione ai media percepita come un insieme discreto, originale, facile da circoscrivere, di industrie, di pratiche e di testi. Dobbiamo elaborare un pensiero sistemico che non dimentica che la scuola non può ignorare i progressi del mondo, che essa costituisce ad un tempo una sfida ed un mezzo dello sviluppo sociale e che a questo titolo essa è attraversata da tutti i contrasti e sventure che la nostra società produce o subisce. Secondo questa logica, la prima domanda da porsi dovrebbe essere quella degli scopi e dei valori. Per quale ragione ed al perseguimento di quali obbiettivi il sistema educativo dovrebbe sviluppare una tale formazione all’informazione ed ai media? La questione non è delle più facili da trattare. Certamente ci si potrebbe accontentare delle dichiarazioni politiche, ma un’analisi più approfondita dei discorsi, come degli atti, è indispensabile per identificare la realtà delle intenzioni ostentate, realtà che sovente presenta una forte colorazione locale e che è soggetta a delle rapide fluttuazioni nel tempo.

Basta soltanto guardare alla complessità del mondo moderno ed alla velocità della circolazione delle comunicazioni, e quindi delle informazioni, per ritenere di tutta evidenza che l’educazione del cittadino del XXI secolo non può prescindere dalla padronanza dell’uso dell’informazione.

I media, d’altro canto, nel trasmettere le informazioni, contribuiscono anche a veicolare valori attraverso l’uso sociale che di essi se ne fa. Ad esempio, l’uso dei manifesti a fini di propaganda e/o di prevenzione (sicurezza stradale, lotta al tabagismo, lotta all’alcolismo, campagne contro la droga, prevenzione sanitaria, ecc.). Questo ragionamento può applicarsi a tutti i media ed anche ai più moderni. Se il telefono cellulare, specialmente in questi ultimi anni, si è imposto come grandissimo vettore in termini di socializzazione e di sicurezza, esso è anche diventato lo strumento della violenza più cieca ed inquietante dello happy slapping.

E si potrebbero moltiplicare a dismisura gli esempi: carta stampata, cinema, televisione, Internet, ecc.

Tenuto conto del posto crescente dei media in quella che si è convenuto chiamare società dell’informazione, l’educazione dei giovani, ed anche dei meno giovani, all’informazione ed ai media riveste un’assoluta urgenza.

Certamente, sarebbe molto ingenuo credere che essa costituisca una garanzia sufficiente per il funzionamento democratico della nostra società, ma essa vi contribuisce e, proprio per questa ragione, essa si rivela indispensabile. Si tratta, quindi, di concepire e di porre in opera degli ambienti di apprendimento adeguati, ad un tempo performanti in termini di apprendimenti e realistici in termini di fattibilità pedagogica ed economica. E, prima di tutto, conviene definire con precisione le competenze e le conoscenze da conseguire.

D’altra parte, i media sono molto di più che delle protesi che si sostituiscono alle nostre intelligenze ed ai nostri sensi che si indeboliscono. Essi, i media, ci interfacciano con il mondo, materiale o immateriale. In questo senso, eccoci immersi in una realtà “dilatata” (la metafora di Matrix, erede indebolita degli eccellenti romanzi di P. K. Dick, è senza dubbio assai adatta per riflettere su queste questioni). Se la dilatazione dei primi tempi fu modesta, è evidente che il rapporto con il mondo dell’uomo contemporaneo è grandemente subordinato a tutte le specie di media. Dal bambino educato in seno ad una comunità chiusa in una logica di eredità culturale e di tradizione orale, siamo passati al bambino sovresposto all’informazione frammentata accessibile grazie agli strumenti tecnologici presenti sul mercato.

 

Dall’esposizione del mondo all’esposizione al mondo

Una delle tendenze più visibili ed innovatrici dell’attuale evoluzione dei media riguarda lo spettacolare rovesciamento del modello di diffusione dei mass media (broadcasting televisivo o radiofonico) verso una situazione radicalmente nuova in cui ciascuno può realmente essere emittente come lo dimostrano il fiorire di blogs oppure il successo di piattaforme di diffusione di videogrammi in linea come Dailymotion (http://www.dailymotion.com) o Youtube (http://www.youtube.com), il cui slogan è, giustamente, “broadcast yourself”.

IN questo modo di diffusione su larga scala si sovrappone la commutazione, cioè la possibilità di rivolgere offerte a qualsiasi individuo o quasi, di rivolgersi a qualsiasi altro o quasi.

Il “quasi” assume in questo caso una dimensione importante, poiché designa, in primo luogo, le divisioni sociali, particolarmente quelle a causa delle quali una parte dell’umanità non ha accesso né ad Internet e neppure al telefono ed all’elettricità.

Questi sconvolgimenti degli schemi di comunicazione contribuiscono a rimettere in discussione il posto e la natura delle frontiere di ciò che per convenzione si designa come appartenente alla sfera pubblica e/o privata, introducendo molta confusione, particolarmente nel registro comportamentale.

Nel mondo intero, le attrezzature tecnologiche divengono sempre più agevolmente disponibili. Se da molto tempo la questione della diffusione degli apparecchi televisivi non è più d’attualità, come pure quella della diffusione del telefono o del cellulare, quella della diffusione di Internet resta ancora di attualità. Anche se il numero di abitazioni collegate ad Internet in banda larga (ADSL) ha raggiunto delle dimensioni imponenti, siamo ancora lontani dal raggiungimento della cifra ottimale di collegamenti. D’altronde, parecchi studi mostrano che esiste una stretta correlazione fra attrezzature ed uso, la strumentazione non è che il primo dei fattori che concorrono allo sviluppo dell’uso. Ve ne sono altri fra i quali si può annoverare una dimensione sociale (il desiderio ed il bisogno di utilizzazione) e, soprattutto, un’educativa (le competenze richieste). L’insieme di questi fattori caratterizza l’accessibilità.

In maniera più generale, la strumentazione da sola non basta e sappiamo che la costruzione delle competenze richieste per utilizzarla si basa in buona parte sulla scuola, salvo lasciare allargarsi il fossato (o la frattura?) che separa gli allievi appartenenti ai ceti più abbienti dagli altri.

Ciascuno di noi può rendersi conto di come le competenze richieste siano ben più estese di quelle relative alla pratica dell’informazione del tempo passato. La moltiplicazione e la diversificazione dei canali di informazioni, la multimodalità dei documenti, la loro ipertestualità e la loro messa in rete ne rendono l’accesso e la comprensione più complessi. Senza dubbio non è esagerato utilizzare il termine frammentata per qualificare l’informazione così come ci si presenta e per descrivere le nostre pratiche abituali dell’informazione e dei media. Sono gli strumenti come il telecomando che contribuiscono in maniera significativa all’instaurazione di pratiche mediatiche frammentate. Al primo posto delle quali lo zapping, divenuto ormai un genere televisivo in sé.

 

Logiche di stock e di flusso che si sovrappongono

Tradizionalmente si distinguevano i media di stock e quelli di flusso. Fino a non molto tempo addietro prevalevano i media di stock (libri, riviste, carta stampata in genere), oggi sostituiti dai media di flusso (radio, televisione, telefono, cellulare) i cui rappresentanti più contemporanei sarebbero Internet e le sue trasformazioni.

Si può, di conseguenza, affermare che i media di stock rappresentavano la cultura scritta, classica, ufficiale e quindi nobile, allorché i media di flusso configurano una cultura più popolare ed associata, con un certo disprezzo, al consumo di massa. Infatti, si assiste ad uno sviluppo concomitante del flusso e dello stock, come la storia delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha dimostrato. L’invenzione delle tecniche di stampa ha aperto nuove possibilità di produzione di stock. Essa ha nello stesso tempo accresciuto considerevolmente la diffusione scientifica e culturale in una logica di flusso. Altro esempio, l’invenzione del videoregistratore agli inizi degli anni ’50, poi la sua diffusione dieci anni più tardi con la commercializzazione da parte della SONY del videoregistratore a standard VHS, hanno permesso di trasformare il flusso televisivo in stock a domicilio. Così, in maniera più generale, si può affermare che più si amplifica il flusso più lo stock aumenta. A questo punto bisogna rivisitare la stessa nozione di patrimonio. Se l’etimologia riduce il patrimonio all’eredità del padre, altre definizioni gli danno un valore universale designandolo come “il bene comune di una collettività, di un gruppo umano, considerando il patrimonio come un’eredità trasmessa dagli antenati”. Non può trattarsi allora per gli educatori di dare una conoscenza esaustiva del patrimonio, ma di contribuire a valorizzarlo, ciò che necessita, dopo aver posto in opera le condizioni di un accesso a questo patrimonio, di costruire le competenze ed i punti di riferimento necessari per evolvere. E prima di qualsiasi cosa, chiederci quali devono essere questi punti di riferimento patrimoniali.

 

Come la scuola può collocarsi di fronte a questi cambiamenti?

Dire che la scuola non si è evoluta nel suo rapporto con la formazione all’informazione e con l’educazione all’uso dei media, sarebbe ingiusto. Per convincersene basta risalire al posto dei media nella scuola di trent’anni fa. Pretendere che la scuola proponga oggi una formazione all’informazione ed un’educazione ai media all’altezza delle sfide del terzo millennio, sarebbe dar prova di un entusiasmo a dir poco stravagante. 

Tutti sappiamo quanto la scuola sia subissata di richieste, reiterate senza posa, di aggiungere nuovi contenuti ai suoi programmi (educazione stradale, educazione alla legalità, educazione alimentare, educazione alla salute, ecc.). Agli occhi della maggior parte della gente la scuola dovrebbe formare da sola i giovani cittadini. Ma bisogna anche considerare che il tempo scolastico non può essere dilatato all’infinito e che le competenze dei docenti non possono essere modificate nel breve periodo.

Inoltre, la famiglia non riesce più ad educare i figlioli per tutta una serie di motivi che esulano da questo studio, ma la società sempre più tecnologica, richiede ai giovani competenze che soltanto le istituzioni scolastiche sembrano potenzialmente in grado di dare al maggior numero di allievi possibile.

L’educazione ai media e la formazione all’informazione potrebbero senza dubbio partecipare allo svecchiamento dei programmi. Si può anche immaginare che queste nuove competenze, costituendo dei potenti strumenti cognitivi, permetteranno di contribuire con efficacia ad un’indispensabile sussidiarietà educativa.

D’altronde, le caratteristiche dei media moderni e, più ancora, delle loro pratiche sociali esigono tuttavia di più e ciò in due direzioni complementari. La prima riposa sullo sviluppo delle competenze di base, competenze che si potrebbero organizzare attorno ad una generica competenza di comunicazione. La seconda suppone un cambiamento copernicano della maniera in cui lo Stato considera i media.

I programmi d’insegnamento come lo zoccolo comune di conoscenze e di competenze sono impastati di cultura classica e si aprono poco ai media moderni. Se la frequentazione delle opere letterarie e pittoriche vi occupa un posto significativo, quella delle opere cinematografiche vi occupa un posto marginale e non si trova alcuna menzione delle opere fotografiche o televisive.

Che dire, ancora, dell’assenza dei videogiochi, blogs, video di breve durata scambiati via Internet (Youtube docet) o di tutte le altre forme di realizzazione digitale?

Fatte salve alcune iniziative pedagogiche di stampo pionieristico, i media più moderni entrano nella scuola sempre più spesso grazie alle interdizioni. Si tratta dei telefoni cellulari dei quali si reprime l’utilizzazione perversa del tipo happy slapping; dei blogs che sono presi in considerazione attraverso la violazione dei diritti della persona da parte di alcuni allievi all’indirizzo di insegnanti o di altri allievi. E’ da tener presente anche l’uso smodato degli SMS o la frequentazione dei forum che si ritiene possano essere malfamati, de gli esempi potrebbero continuare.

Ritengo che bisognerebbe riservare a questi media un posto nella scuola, non per inserirli in qualche programma o in qualche educazione, ma per apprenderne la loro natura reale e per promuovere negli allievi una vera educazione critica ai media ed all’informazione.


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