Multimedialità e Didattica

di Alessandro Tempi

 

Abbiamo tre modi di impostare il problema dei rapporti fra multimedialità e didattica:

  1. pensare la multimedialità come un mero strumento tecnico, al pari di qualsiasi altro, che tuttavia ci permette di massimizzare i risultati relativi all’organizzazione del sapere, alle sue articolazioni e connessioni, in una parola alla problematizzazione dei temi.
  1. possiamo altresì pensare la multimedialità come una realtà didattica nuova, vale a dire qualcosa che ci permette, come insegnanti, di modificare il nostro metodo e modello di insegnamento; forse dunque un nuovo modo di insegnare, suscettibile di ampliare e potenziare tanto la capacità didattica tanto quella di apprendimento (favorendo la percezione della complessità dei problemi e delle loro interrelazioni).
  1. possiamo infine porci il problema pedagogico relativo al modello culturale che la multimedialità suggerisce: un modello che scaturisce dall’opposizione fra razionalità lineare-sequenziale e dinamica multilineare o resonanziale (un tema mcluhaniano, questo). Occorre tuttavia notare,  su questo specifico aspetto della problematica, che:
  1. ancora non esistono teorie valide ed esaustive;
  2. il nuovo orientamento epistemologico che esso implica richiederebbe un mutamento radicale di tutto l'impianto disciplinare-curricolare della scuola - cosa cui quest’ultima non pare ancora pronta.

Vi è inoltre un altro aspetto del problema  relativo al valore dell’ipertesto nella pratica didattico-cognitiva :

  1. se viene progettato e costruito insieme agli studenti stessi esso può dare certi risultati  (riconducibili al punto 2 e forse anche al 3);
  2. se esso viene semplicemente utilizzato come prodotto esterno (o strumento di incremento didattico), ne darà sicuramente altri (riconducibili al punto 1).

Resta comunque un fatto: multimedialità ed ipertestualità costituiscono non saperi nuovi, ma forme nuove di organizzazione del sapere. Esse quindi non ci danno contenuti nuovi, ma nuovi modi di organizzare quelli che già abbiamo (ed eventualmente di farne scaturire altri dal confronto inedito fra quelli vecchi). Se ciò, vale a dire il fatto di organizzare il sapere in forme nuove, possa costituire al tempo stesso una forma nuova o più alta di sapere (secondo il sogno che è tanto classico quanto moderno di un sapere unitario ed onnicomprensivo), è problema che pertiene più propriamente alla riflessione filosofica ed epistemologica.

Inoltre, se accettiamo questa ipotesi, dobbiamo sapere che essa di fatto implica che quel sapere che ci incarichiamo di organizzare o riorganizzare attraverso le nuove tecnologie va in ogni caso posseduto, altrimenti queste ultime rimangono scatole vuote o futili divertimenti. Il che propone, com’è evidente, un problema di natura pratica: il rapporto fra grado di preparazione degli studenti e complessità dei contenuti ipertestuali (siano essi costruiti o semplicemente utilizzati).

Vi sono taluni che agognano alla multimedialità ed all’ipertestualità come a mitiche fonti di un sapere facile, automatico, semplificato, alla moda, come insomma soluzione miracolosa di tutti i problemi didattici degli insegnanti e le resistenze cognitive degli studenti. Ma se così fosse, i negozi di computer venderebbero ipertesti didattici molto più che giochi di simulazione. Si sa che invece non è così. La verità è che gli ipertesti non sono facili perché la cultura, e quindi l'apprendere, non è sempre e comunque un gioco ma (ragionevolmente) una fatica, così come qualsiasi altro lavoro che voglia conseguire uno scopo.

Il problema è sempre il solito: ci invaghiamo della tecnologia perché in un modo o nell’altro essa sembra ridurre i nostri problemi, alleggerire i nostri pesi, alleviare i nostri mali, ma non ci accorgiamo che ogni nuovo strumento alza la posta nel gioco della vita, ci attira in sempre maggiori sfide, ci carica di più pesanti responsabilità. Che noi non vogliamo. Ecco perché, perfino inconsciamente, amiamo la macchina.

Ora, gli ipertesti sono bellissimi: anche quando semplicemente li usi (più ancora quando lo progetti e costruisci), si crea fra te e loro una circolarità inesauribile, quasi come una corsa a inseguimento nella quale ti viene aperta, sol che tu lo voglia, la complessità di un argomento, di un tema, di un problema. Ma durante questa gara accade una cosa strana: tu cresci e l'ipertesto diminuisce, tanto che alla fine esso esaurisce da sé la sua importanza ai tuoi occhi, perché te ne sei impadronito e l'hai di fatto superato nel tuo inseguimento. Però, se non entri nella gara, se non accetti la sfida, esso è inutile. Com’è inutile un libro od un audiovisivo o perfino una semplice penna a sfera.

Si tratta insomma degli strumenti della comunicazione: ognuno ha le sue logiche, ma sarebbe errato pensare che essi siano anche portatori di valori. Questi, credo, può conferirli solo la riflessione dell'uomo.

La logica della penna fu quella di tradurre la musicalità e la libertà del discorso orale nella linearità e geometricità della scrittura. La logica dell’audiovisivo è stata quella di raccontare per immagini (con l'implicita assunzione che la parola non bastasse più). La logica degli ipertesti è quella del percorso aperto e articolato, della ricerca multilineare e resonanziale. Certo essa suggerisce valori cognitivi ed operativi come l'interdisciplinarietà, la complessità, l'interrelazione, ma a ben vedere lo fa né più né meno che se avessimo tanti libri sullo stesso argomento aperti sulla scrivania (l'unica differenza sta nella velocità di acquisizione e/o comparazione dei dati).

In altre parole, i valori stanno nella scelta operata dall’uomo (nel voler esser interdisciplinari, insomma), non nella macchina, che esegue soltanto istruzioni. Così l'ipertesto è interdisciplinare perché l'uomo vuole esserlo, perché sa che una cultura organizzata a compartimenti stagni è arida e inerte, perché in fondo quella dell’ipertesto è l'esatta metafora col nostro attuale rapporto con le informazioni, un rapporto che deve andare nella direzione della padronanza e della capacità interpretativa e non in quella dell’assorbimento acritico.